Tales of Mystery and Imagination

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Maurizio Nati: Fiat voluntas tua

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«L'elicottero è pronto, Santità» annunciò dal videocitofono il giovane sacerdote dall'aria efebi­ca, e la sua voce spezzò brutalmente il silenzio all'interno della stanzetta disadorna in cui Giovanni XXIV si era isolato a meditare. Una cella da monastero medievale che tradiva i trascorsi religiosi dell'anziano pontefice e le sue tendenze ideologiche. Arredo ridotto all'essen­ziale, un grosso crocifisso di legno a una parete, lo schermo del videocitofono mimetizzato per quanto possibile sopra un tavolinetto nell'angolo, una finestrella lunga e stretta dalla quale si scorgeva uno spicchio del cielo grigio di Roma.

Giovanni XXIV si rialzò non senza fatica dal­l'inginocchiatoio imbottito, notando che l'in­dolenzimento delle giunture era più forte che in altre occasioni. Segno che era rimasto inginoc­chiato più a lungo del solito, e per di più senza ricavarne i risultati sperati. Era più confuso di prima.

Premette il tasto del videocitofono e subito si visualizzò l'immagine a mezzo busto del giovane sacerdote. «Don Roberto, dica al Cardinale Segretario di Stato di raggiungermi appena possi­bile.»

«Subito, Santità.»

Il vecchio pontefice si diresse a passi lenti verso la stanza adiacente, che costituiva una si­gnificativa porzione dei suoi alloggi privati, con­venientemente ridotti al minimo indispensabile. Non ho bisogno di tutto questo spazio, si era detto appena eletto papa, quindici anni prima. E nem­meno di tutto questo sfarzo. Sono un servo di Dio, non un principe regnante.

Non fece in tempo ad arrivare al suo scrittoio che qualcuno bussò alla porta ed entrò prima ancora che lui avesse avuto il tempo di rispon­dere. Apparve un porporato piccolo e rinsecchito, con due occhietti neri e vispi e un'aria gioviale sul volto accuratamente sbarbato.

«Mi volevi, Giovanni?» disse, restando defe-rentemente in piedi accanto a una delle due sedie al di là dello scrittoio.

Giovanni XXIV si accasciò sulla sua poltrona e fece cenno all'altro di accomodarsi.

«Sto per andare al mio appuntamento» gli disse con un filo di voce. «Ma ancora non sono sicuro di essere preparato.» Lo fissò con l'aria quasi smarrita, in cerca di una risposta.

«Giovanni, io... devo ricordarti che ho già espresso con franchezza tutta la mia perplessità. Sono ancora convinto che tu non debba andare a quell'appuntamento.»

Il Santo Padre sembrò deluso. Sperava che il Cardinale Segretario di Stato avesse cambiato idea. Faceva molto affidamento sul suo senso pratico e sulla sua intelligenza acuta, e avrebbe voluto averlo dalla sua parte anche in quest'occa­sione. Soprattutto in quest'occasione.

«Lo so, Angelo. So come la pensi. E so anche che probabilmente dovrei darti ragione. Ma il cuore mi dice che devo andare. Io sento che è tutto vero, che non è una mistificazione. Non posso dire di no a Nostro Signore!»


«Andiamo, Giovanni! Non crederai veramente a questa storia. Ma ti rendi conto di quanto sia assurda solo l'idea? Nostro Signore non ha mai dato appuntamenti del genere.»

Giovanni XXIV sembrò tentennare, di fronte alla brutalità di quell'affermazione, ma si riprese subito. Era un uomo vecchio e stanco, ma dalla tempra robusta e dalla volontà inflessibile.

«Forse li ha dati, ma nessuno ha mai risposto perché ragionava come te. Io invece credo che voglia veramente parlare con me. Ed è proprio questo che mi sgomenta: non mi sento preparato. Però devo farlo. Se Lui mi chiama io devo andare.»

Lo disse con la forza e la convinzione di chi afferma un dogma. E l'espressione risoluta nei suoi occhi confermò al porporato, se mai ce ne fosse stato bisogno, che la decisione era irrevocabile.

«Va bene, Giovanni. Se la pensi così, allora vai. Ma non chiedermi di aiutarti. Non sono in grado di farlo. Dovrai affrontare la situazione da solo.» Non c'era freddezza nella sua voce, solo rassegnazione. E una nota quasi impercettibile di calore, che il vecchio pontefice colse e della quale fu grato al cardinale suo vecchio e devoto amico.

Poi il cardinale aggiunse: «Comunque è tutto organizzato. Ti aspettano per questa sera a Nuova Israele. Gli ho detto che hai intenzione di com­piere un pellegrinaggio in occasione del duemillesimo anniversario della morte di Nostro Signore, e hanno fatto finta di crederci. Gli ho anche spiegato che si tratta di un'iniziativa stret­tamente privata e che è richiesto il massimo riser­bo. Hanno già organizzato un servizio di sorve­glianza efficiente e discreto.»

«L'elicottero mi sta aspettando» si limitò a dire il Santo Padre, e si alzò dalla poltrona dirigendosi verso la porta. Nel passargli accanto, sfiorò con la sua mano quella del Cardinale Segretario di Stato, che gliela prese e gliela strinse.

«Affidati al tuo cuore» gli disse, e lo accom­pagnò verso la porta.

Mentre l'elicottero attraversava pigramente il cielo di Roma diretto verso l'aeroporto di Fiumicino, Giovanni XXIV era immerso nei suoi pensieri. Ripensava a quello straordinario giorno, {pochi giorni fa, si disse, ma sembra un 'eternità) in cui aveva ricevuto il messaggio da Dio. Il Venerdì Santo.

Anche questa non può essere solo una coinci­denza, pensò. Proprio il giorno in cui si com­memora la sua morte.

Un messaggio rivolto a lui personalmente, un sogno a occhi aperti. Un bambino era apparso dal nulla nella sua camera da letto, poco prima che si coricasse, e gli aveva annunciato che Dio lo aspettava. Che voleva conferire con lui, solo con lui, Giovanni XXIV, il papa già santo per consen­so universale, l'uomo che aveva ricondotto la Chiesa sulla strada del più puro insegnamento di Cristo. L'uomo che non si era limitato a predicare amore, fratellanza e tolleranza, ma ne aveva fatto regola di vita, lui per primo, e l'aveva imposta ad amici e nemici. L'uomo che aveva sconfitto la sopraffazione, l'ingiustizia, lo sfruttamento, la povertà. Un miracolo di cui ancora non ci si spie­gava il successo. I potenti della Terra si erano inginocchiati ai suoi piedi e avevano fatto la sua volontà. E adesso la Terra era un luogo molto migliore di mezzo secolo prima.

Quel bambino, che sembrava uscito da un di­pinto del Quattrocento italiano, non gli aveva por­tato prove, ma Giovanni non aveva avuto dubbi. Era un inviato di Dio. Lo aveva capito subito, lo aveva sentito nell'anima, e lo aveva accettato senza fare domande. Aveva chinato la testa, ed era rimasto lì con gli occhi verso il basso per diversi minuti, sopraffatto dall'evento. Quando li aveva rialzati il bambino non c'era più. Era rimasto solo un profumo dolcissimo, una luminosità soffusa.

Giovanni non era riuscito a dormire. Sentimenti contrastanti lo avevano tenuto in agi­tazione fino all'alba. La sensazione di essere stato chiamato a una missione al di sopra delle sue forze, a un incontro per il quale non si sentiva preparato, quasi un'irriverenza, un'intrusione indebita in qualcosa di troppo grande per un uomo, immeritevole di tanta considerazione, un semplice grumo infinitesimale di materia nel­l'enormità dell'universo di Dio. Ma anche il desiderio di vivere fino in fondo un'esperienza che non era stata mai concessa a nessuno prima di lui, quella di trovarsi al cospetto del Dio creatore, del Dio al quale lui aveva dedicato tutta la sua esistenza, quel Dio d'amore nel quale aveva riposto tutta la sua fiducia e che lo aveva aiutato a realizzare il Suo regno in Terra.

E poi la paura, il senso di inadeguatezza. Chi sono io per parlare con Dio? Che cosa posso dirgli che Lui già non sappia? Come potrò non deludere le Sue aspettative? Vorrà forse affidarmi un incarico particolare? E io sarò in grado di portarlo a termine? Tante domande senza rispos­ta in un dormiveglia agitato. Ma Giovanni aveva già preso la sua decisione. Sarebbe andato al luogo dell'incontro e avrebbe fatto comunque la volontà di Dio.

Il Golgota era ancora lo stesso cocuzzolo spelacchiato di due millenni prima, ma adesso faceva parte integrante della Grande Gerusalemme, la città santa delle tre religioni monoteistiche, ora luogo di pace e di reciproco rispetto. Visto dal basso sembrava più imponente di quanto non fosse in realtà, ed esercitava comunque un fascino sottile nel tramonto ormai incombente. Qualunque cristiano non poteva fare a meno di associarlo al tragico evento del Cristo torturato e crocifisso, e rivivere sulla pelle tutte le sofferenze di quell'uomo giusto e innocente.

Giovanni non riuscì a reprimere un brivido, forse per il freddo che si stava facendo pungente. Aveva indossato una semplice tonaca da prete per non dare nell'occhio, ma la stoffa era troppo leg­gera. Non importa, si disse. Posso ben sopportare un po' di freddo. Cristo ha patito ben altro. E si avviò lungo il sentiero che portava alla vetta.

Vi giunse quando ormai il sole stava scom­parendo all'orizzonte, macchiando il cielo di una tinta dorata. Ansimante, con le gambe che gli facevano male, Giovanni si guardò intorno. All'inizio non vide nessuno, poi scorse un uomo seduto su una pietra accanto a uno dei pochi alberi. Da quella distanza non riuscì a di­stinguerne le fattezze. Sarà lui? si domandò, esitante, mentre cercava di riprendere fiato. Quasi avesse intuito la sua domanda, l'uomo si alzò e si diresse a passi lenti verso di lui.

Mentre si avvicinava, Giovanni provò un senso di vertigine, ma riuscì a conservare la luci­dità per non farsi sopraffare dall'emozione di quel momento. Si fece il segno della croce e si avviò a sua volta in direzione dell'uomo.

Adesso era in grado di distinguerne con chiarezza i lineamenti. Alto, lunghi capelli grigi scompigliati dal vento, occhi come carboni arden­ti, una lunga tunica azzurra. Il Dio di Michelangelo, il Dio di un'iconografia bimil­lenaria. Eppure... osservando meglio, Giovanni notò qualcosa che non si sarebbe aspettato: un velo di tristezza in quello sguardo imperioso, un'angoscia antica, un dolore mai lenito e mai guarito. Il peso di qualcosa di troppo grande da sopportare che faceva di lui un vecchio stanco e provato.

Giovanni fece per inginocchiarsi ma l'uomo lo fermò subito, posandogli una mano sulla spalla.

«No, Giovanni» gli disse, fissandolo negli occhi. E Giovanni obbedì.

«Tu sei...» cominciò il Santo Padre, ma non riuscì a continuare. Non gli venivano le parole, non sapeva come formulare la domanda, e si sentì totalmente, disperatamente impreparato.

«Sì» rispose l'uomo. «Io sono Dio.»

Lo disse con semplicità, quasi fosse un fatto scontato, di nessuna importanza. L'eco di quella frase continuò a riverberarsi nella mente intorpidi­ta del vecchio pontefice. E ' così che me lo aspet­tavo? si domandò. Un Dio vecchio e sgomento? Ma subito ricacciò indietro quella domanda, e se ne vergognò nel profondo del cuore. Chi sono io per giudicare? E un altro brivido, questa volta non solo di freddo, gli attraversò la spina dorsale.

Quasi gli avesse letto nel pensiero, Dio disse: «Non mi immaginavi così, Giovanni? Forse ho sbagliato a presentarmi in questo modo. Ma ho preferito offrirti un'immagine riconoscibile di me, per metterti a tuo agio.» Gli sorrise, poi aggiunse: «Tu stai tremando, Giovanni. Mettiti addosso questo mantello.» Un mantello comparve dal nulla sulle spalle di Giovanni.

«Grazie» farfugliò il pontefice, e subito si sentì sciocco, ma apprezzò il calore dell'indumento. «Io...» Ancora una volta non riuscì a parlare. Le parole gli morivano in gola. Oh, Dio, come farò ad affrontare questa prova? Mi sto dimostrando indegno della Sua fiducia, e della carica che rico­pro. Sono troppo vecchio, la mia mente non è più elastica e duttile come un tempo.

«Certamente ti sarai domandato il motivo di questo incontro» disse Dio, e Giovanni potè solo annuire. «Immagino ti appaia inconsueto, ma se ci pensi bene è solo una normale conversazione fra un dio e il suo diretto e legittimo rappresen­tante in Terra. Una specie di... incontro al vertice, diciamo. Oh, niente di così drammatico, Giovanni. Non preoccuparti. Tu sei perfettamente in grado di affrontarlo. Sei il miglior rappresen­tante che abbia mai avuto.» Gli sorrise, quasi avesse fatto una battuta e si aspettasse una risata da parte del suo interlocutore.

«Io... io mi sento frastornato, mio Signore» disse Giovanni, e si accorse che stavolta riusciva a esprimersi. «Ho messo la mia vita a dispo­sizione della Tua volontà, e lo farò anche adesso, ma non so se sarò all'altezza.»

«Oh, lo sarai, lo sarai. Non farti di questi pro­blemi.» Dio gli rivolse un'occhiata piena di calore. «E' molto più facile di quello che hai fatto sulla Terra. Sai, Giovanni, a volte penso che sei arrivato troppo tardi. Se tu fossi stato papa, di­ciamo, cinquecento o seicento anni fa, il genere umano si sarebbe risparmiato tante guerre e tanti lutti. Ma forse è colpa mia. In fondo è a me che si deve l'ordine e il disordine delle cose del mondo. E probabilmente più di una volta ho commesso degli errori.»

«No» si affrettò a dire Giovanni. «No, mio Signore, tu non puoi commettere errori. Tu sei infallibile...»

«Oh, posso, posso» lo interruppe Dio, con una nota di tristezza nella voce. «Non credere a questa storia dell'infallibilità di Dio. L'hanno inven­tata coloro che se ne sono fatti forti per procla­mare la "propria" infallibilità. Un dio è sottopo­sto come ogni altro essere alle leggi della natura. Diciamo che sbaglia un po' di meno, ma sbaglia anche lui, puoi credermi sulla parola.»

Giovanni non riusciva a credere alla proprie orecchie. Era sempre stato abituato a rispettare con fiducia cieca tutti i dogmi di Santa Madre Chiesa. Su questa fiducia aveva sempre riposto le sue certezze, e adesso almeno una di quelle certezze veniva meno. E'troppo per me, si disse. Tutto questo è troppo. Non sopravvivrò a quest'incontro, o se sopravvivrò non sarò più quello di prima.

«Povero Giovanni» disse Dio, ancora una volta leggendogli nel pensiero. «Il tuo Dio infal­libile ti sta giocando un brutto scherzo, eh? Eppure, pensaci bene, l'infallibilità è in qualche modo un lusso che nemmeno un Dio può conce­dersi. Sarebbe un limite alla sua possibilità di sbagliare, dunque una negazione in termini della sua onnipotenza. E io sono onnipotente, questo sì. Posso fare tutto quello che voglio.»

La mente di Giovanni lavorava frenetica­mente, tentando di riassestare i pezzi della sua coscienza schiantata. In fondo, si disse, l'imma­gine che noi abbiamo di Dio è quella che ci siamo costruita da soli. Decine, centinaia, migliaia di teologi, pensatori e filosofi hanno elaborato, strato dopo strato, una figura di Dio che nessuno ha mai visto, se non nei suoi sogni, o nelle sue visioni, o nei suoi incubi. Un Dio costruito a par­tire dalle Sacre Scritture, che sono anch'esse prodotto dell'uomo. E poi il Cristo, che ha aggiunto...

«Non arrovellarti il cervello, Giovanni» disse Dio, interrompendo il corso tumultuoso dei suoi pensieri. «Nemmeno tu, con tutta la tua intelli­genza, la tua sensibilità, la tua fiducia nel Dio della tradizione, puoi capire fino in fondo. Limitati ad accettare quello che ti dico. Apri la tua mente e preparala ad accogliere concetti che ti sembrano eretici, blasfemi, ma che sono la verità. Ed è la verità che tu devi perseguire, ricordalo. Io ti sto mettendo alla prova, e non l'ho mai fatto con nessuno prima di te, perché sono convinto che tu sia l'uomo giusto per affrontarla e superar­la. Tu sei il mio prodotto migliore, Giovanni, ed è in te che io confido per la realizzazione del mio progetto.»

«Tu mi fai un onore che io non merito, mio Signore. Io sono solo un uomo semplice e impau­rito che ha sempre cercato di servirti con umiltà. E cercherò di farlo anche adesso.» Giovanni "chinò la testa, sperando che la sua piccola mente potesse prima o poi aiutarlo a capire. Devo solo seguirlo, rimettermi alla Sua volontà. E Lui mi guiderà, mi illuminerà, mi insegnerà a percorrere questa nuova strada.

Dio aveva distolto lo sguardo e stava guardan­do la distesa sterminata della Grande Gerusalemme, un brulichio indistinto di luci che sembrava giungere fino all'orizzonte. «Tu conosci questa città, Giovanni» gli disse dopo un po'. «E conosci questo monte. Sai che cosa rap­presenta per me?»

«Immagino di sì, mio Signore» rispose Giovanni. «E' il luogo in cui tuo figlio è stato cro­cifisso ed è morto per riscattare i peccati dell'uo­mo.»

«Un sacrificio necessario.» Dio tornò a fissare lo sguardo sull'uomo anziano e smarrito. Ancora quell'espressione di grande sofferenza. Giovanni la notò e non potè fare a meno di provare a sua volta un dolore quasi fisico. Dio soffre ancora per quell'evento doloroso e inevitabile, si disse. Dopo duemila anni il suo cuore sanguina ancora per quel figlio sacrificato innocente. Che cosa posso dirgli? Non ci sono parole per lenire questo dolore.

«Vedi, Giovanni, io non mi sono mai perdona­to per quella decisione, anche se allora mi sembrò giusta e nobile. Vivo da allora con il rimorso di aver mandato a morte mio figlio, una parte di me, solo per un atto di orgoglio. Non fu un atto di amore, ma un'affermazione di orgoglio.»

«Ma...» Giovanni non riusciva a trovare le parole, e dovette fare appello a tutta la sua fede. «Mio Signore, è stato il più grande atto di amore che ci si potesse aspettare dal proprio Dio. Un atto generoso, disinteressato, volto a riscattare un'umanità schiacciata dal peso del peccato ori­ginale...»

«E' quello che ho pensato anch'io, Giovanni. Ma poi mi sono convinto che non era affatto così. In realtà io ho voluto solo dare una dimostrazione di superiorità. E' come se avessi detto: guardate che cosa sono capace di fare per voi, uomini senza fede, e adesso vi sfido a non riconoscermi e a non adorarmi come unico Dio. Ho creato in loro un senso di colpa dal quale non sono mai riusciti a liberarsi. Non gli ho mai consentito una scelta libera e responsabile. Li ho ricattati.»

Non è possibile, pensò Giovanni. Queste non possono essere le parole di Dio, non del mio Dio, quello che ho adorato e rispettato per tutta la mìa vita. Quest'uomo davanti a me è un impostore, e... Solo allora fu trafitto da un pensiero orribile. // Maligno! E se fosse un tranello del Demonio? Se mi avesse attirato qui per ingannarmi, e inde­bolire la mia fede e...

«No, Giovanni, io sono il tuo Dio.» Nessun risentimento nella sua voce, nessun rimprovero, nessun biasimo per quell'accenno di dubbio. Solo tanta tristezza. Tanta stanchezza. Gli mostrò le mani. Erano entrambe segnate da una piaga san­guinante. «Guarda. Porto ancora i segni di quel sacrificio... oh, si, è vero, anche questo potrebbe essere un inganno del Demonio. Solo che non esiste nessun Demonio. Anche quella è una mia invenzione. E anche di quella menzogna ho un grande rimorso. Ma tu puoi anche non credermi, Giovanni. Non ho modo di dimostrarti la verità delle mie affermazioni. Devi credermi per fede. E comunque non m'importa se mi credi o no. Mi importa solo che tu faccia ciò che ti chiedo.»

Lo fissò in volto, con gli occhi neri che sem­bravano ardere di una febbre antica, inguaribile.

Giovanni provò un brivido di paura. «Che cosa vuoi da me, mio Signore?»

«Io voglio che tu mi uccida.»

Una improvvisa folata di vento freddo fece turbinare le foglie secche sul terreno. Le luci di Gerusalemme si confondevano all'orizzonte con quelle del cielo. La luna illuminava i lineamenti stravolti di un dio disperato e di un suo servitore atterrito e incredulo.

«Io... non capisco, mio Signore» farfugliò Giovanni, tormentandosi le mani intirizzite.

«Io voglio morire, Giovanni. Voglio morire come mio figlio. La mia esistenza è solo un lungo, straziante tormento. La morte, la morte fisica, reale, concreta che io ho inflitto a Cristo mio figlio porrà termine al mio dolore.» Una lacrima gli scese lungo la guancia, o così sembrò a Giovanni. Un Dio che piange? Un Dio che vuole morire? Un Dio che è solo un uomo sopraf­fatto dal rimorso e dalla sofferenza? E un Dio che chiede a me di ucciderlo, contravvenendo a uno dei suoi insegnamenti più alti? Non posso farlo. Anche se è il mio Dio a chiedermelo. Non posso uccidere, nemmeno per una ragione come questa. E poi non potrei più vivere senza di lui. Nessuno potrebbe più vivere, senza Dio.

«Come puoi chiedermi una cosa del genere?» disse allora Giovanni, e gli strinse la mano, fred­da come la sua. «Tu ci hai insegnato che non è giusto uccidere. Tu ci hai insegnato l'amore, il perdono...»

«Ma chi può perdonarmi per quello che ho fatto?» lo interruppe Dio, con veemenza. «Io stes­so per primo non so perdonarmi. E' come un fuoco che mi divora l'anima, il rimorso di un pec­cato di orgoglio sulla carne innocente di mio figlio. Un rimorso continuamente perpetuato nei vostri riti, che ogni giorno mi ricordano l'orrore di questo sacrificio ingiusto e senza scopo.» Indicò il cielo con il dito. «Guarda lassù, Giovanni. Tutte quelle stelle. Le vedi? Le ho create io. Per tanto, tanto tempo la loro presenza, l'intera architettura dell'universo, sono state la conferma della grandezza di un Dio giusto e pietoso, che amava le sue creature e offriva loro la possibilità di vivere una vita piena di dignità, senza opprimerle con la sua presenza ingombrante, senza condizionarle nelle scelte, senza imporre loro inutili confronti. Per millenni ho lasciato che credessero a ogni forma di divinità, le ho lasciate libere di scegliersi i loro dei, la loro religione, i loro riti. Mi sono tenuto da parte. Poi... poi qual­cosa è cambiato. Forse per amore, forse per noia, forse per solitudine, forse anche per curiosità ho cominciato a provare il desiderio di essere più vicino, di mostrarmi alle mie creature, di farmi conoscere. E quel delicato equilibrio è andato lentamente in pezzi. E' finita come sai. L'uomo non era in grado di assimilare una realtà così grande, così trascendente per lui. E' stato costret­to ad accettarla, ma senza mai capire fino in fondo. Si è costruito una religione che non era a misura delle sue esigenze, fondata su un Dio invadente e capriccioso, all'interno di uno spazio che non riusciva a contenerlo tutto. E poi, per emulazione, altre religioni, altre menzogne, altre sopraffazioni. La situazione mi è sfuggita di mano.»

Giovanni piangeva sommessamente, il corpo piccolo e raggrinzito scosso dai singhiozzi. «Sono io che sto per morire, mio Dio. Tutto questo è troppo per le mie deboli forze...»

Ma Dio non lo stava più a sentire. «Avrei potu­to sopravvivere, andare avanti anche nel disordine di quel mondo non più bello e armonioso come un tempo. Forse, scomparendo di nuovo, col tempo gli uomini si sarebbero dimenticati di me, e sarebbero tornati alla loro esistenza felice, al loro paradiso terrestre. Invece ho ceduto al mio egoismo, ho abusato dei miei poteri. Ho creduto di offrire di me un'immagine forte e giusta, quel­la di un padre che manda al massacro il suo unico figlio incarnato per costruire in Terra il regno del­l'amore, ma mio figlio era semplicemente l'in­consapevole ambasciatore di un Dio che in realtà non aveva niente da offrire agli uomini se non il suo orgoglio ferito. Me lo hanno ammazzato per niente, Giovanni! Perché poi da quel sacrificio crudele non è nato l'amore, ma solo la paura. Perché uomini cinici e ignoranti, dall'alto di un trono, o dal pulpito di una chiesa, hanno imposto la fede per obbligo, e hanno prevaricato, e tortu­rato, e ucciso in mio nome. Tu stesso hai saputo fare molto meglio di me, e senza torcere un capel­lo a nessuno. Ho sbagliato tutto, Giovanni. Non posso continuare a vivere con questo rimorso. Uccidimi, e il tuo sarà un vero atto d'amore.»

Giovanni sollevò lentamente la testa, gli occhi gonfi di lacrime. «Anche se volessi, come potrei farlo, mio Signore? Non ho nessun'arma con me.» Un'affermazione stupida, un meschino ten­tativo di sfuggire alla necessità di una scelta. Dio, Dio, ma che cosa sto dicendo! Forse sono impazzito, o forse tutto questo è solo un incubo. Ma se lo è, è terribilmente concreto, come sono concrete queste lacrime che mi bagnano il viso.

Una pistola apparve dal nulla nella mano destra di Dio.

«Ecco la tua arma, Giovanni. Punta dritto al cuore.»

Come un automa, Giovanni prese la pistola, e la fissò come se non capisse. Rimase a lungo in silenzio, poi disse: «Non posso uccidere il mio Dio. Non posso fare a meno di Lui.»

«Oh, puoi farne a meno benissimo. Tutti gli uomini possono fare a meno di Dio, comunque lo concepiscano. Ormai l'universo va avanti da solo, e l'idea di un essere superiore che tutto governa è vecchia e superata. Anche ingombrante, direi, per­ché vi impedisce di realizzarvi compiutamente, di camminare con le vostre gambe. Il tempo di Dio è finito, Giovanni, e non tornerà mai più.»

Il vecchio pontefice guardò in faccia quell'uo­mo che lo guardava a sua volta con un'espres­sione di sofferente attesa. Quello che mi chiede è troppo anche per me, pensò. Uccidere è male, qualunque ne sia lo scopo. La Sua vita è sacra quanto quella di qualsiasi creatura vivente. Eppure... è stato Lui a darci la vita, e può ripren­dersela quando vuole. Può riprendersi anche la Sua, se questa è la Sua volontà. E io ho sempre vissuto con il fermo proposito di realizzare la volontà di Dio. Sia fatta la Tua volontà, come in Cielo così in Terra...

«Farò quello che mi chiedi» disse alla fine. «Ma prima rispondi a questa domanda. Che ne sarà di tutta la nostra religione? Che ne sarà di me, e di tutti quelli che come me hanno sempre vissuto per amarti e rispettarti?»

«Tutto andrà avanti come prima, Giovanni. I migliori di voi hanno sempre creduto in me anche senza mai vedermi né toccarmi, e credendo in me hanno fatto ciò che io gli avevo chiesto. Hanno fatto il bene. Hanno seguito la strada dell'amore e della tolleranza. Possono continuare a farlo anche quando non ci sarò più. Basterà andare avanti per quella strada. Ormai siete in grado di cavarvela da soli. Come un bambino che cresce e impara a vivere secondo l'educazione ricevuta, anche quando suo padre, o sua madre, non ci sono più. Quanto a quelli che non mi hanno amato, o hanno fatto finta di amarmi, possono benissimo fare a meno di me. Non sentiranno la mia mancanza.»

«Perdonami, mio Signore...» Giovanni protese le mani e fece un passo avanti. «Ma prima lascia che ti abbracci. Non voglio che tu muoia senza il conforto del mio amore per Te. Ti porterò sempre nel mio cuore, così come tu sarai sempre vivo nel cuore di tutti coloro che credono in te.»

I due uomini si abbracciarono, silenziosa­mente, e Giovanni versò in quell'abbraccio le

ultime lacrime che gli rimanevano. Poi fu Dio a respingerlo con dolcezza.

«Fai quello che devi fare, Giovanni. E fallo subito. Anche il tuo Dio teme la morte. Non la morte della carne, ma quella dello spirito, del sof­fio vitale, di ciò che voi chiamate anima. Per me non c'è né redenzione né perdono, Giovanni. C'è solo il silenzio, l'oblio. Forse la pace.»

Dio chiuse gli occhi. Giovanni puntò la pisto­la, premette il grilletto. Il rumore dello sparo vio­lentò il silenzio assoluto della notte. Un lampo squarciò l'oscurità punteggiata di stelle. Poi di nuovo silenzio.

Dio è morto, pensò Giovanni fissando la tunica azzurra afflosciata sui radi ciuffi d'erba. E l'ho ucciso io. Come farò a sopravvivere con questo fardello? Poi guardò il cielo, respirò a fondo l'aria profumata, ritrovò l'immensità dell'universo, avvertì l'armonia delle stelle e dei pianeti e si sentì pervadere da uno strano, insperato senso di pace. No, si disse, Dio è ancora vivo, e lo sarà sempre.

Non sentiva più freddo. Gettò a terra la pisto­la, si fece il segno della croce, si inginocchiò davanti a ciò che rimaneva del suo Dio, poi si rialzò faticosamente e cominciò a discendere il pendio a piccoli passi, verso l'oceano di luci tremolanti.

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